Il 2021 non è stato un anno particolarmente piacevole. Il Covid era, e in realtà continua ad essere, la principale preoccupazione globale. Contagi, decessi, mascherine, varianti erano le parole d’ordine di ogni news televisiva e giornalistica. Per questo in molti, ingenuamente, avevano pensato al 2022 come l’anno della svolta nella lotta contro la pandemia.
In un certo senso, così è stato, infatti si stima che circa il 60% della popolazione globale abbia completato il ciclo vaccinale (prima e seconda dose). Ovviamente, la pandemia è ancora in corso, e si sta già pensando alle quarte dosi per settembre 2022.
Il 2022 però, ha portato con sé qualcosa di tanto inaspettato quanto anacronistico, ovvero un conflitto armato nel cuore dell’Europa continentale. Le speranze di una ripresa globale dopo il biennio della pandemia si sono infrante nelle conseguenze economiche e politiche della guerra tra Russia, paese aggressore, e Ucraina, paese aggredito.
Il mondo, e l’Europa in particolare, avevano focalizzato i loro sforzi per uscire da una pandemia, e si sono ritrovati in un conflitto che intacca tutte le maggiori potenze globali in un modo o nell’altro.
Abbiamo dimenticato qualcosa
Quello che è caduto nel dimenticatoio, come spesso accade nei momenti di più profonda crisi, è l’agenda politica che aveva impostato la Commissione Europea sul finire del 2019, improntata sulla più grande crisi che il genere umano si trova ad affrontare: la crisi climatica.
L’ultimo report del Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) ha riaffermato quello che il 98% della comunità scientifica continua ad affermare da decenni, ovvero che siamo vicinissimi al punto di non ritorno.
Per punto di non ritorno si intende la finestra di tempo che il genere umano ha a disposizione per invertire il trend del riscaldamento globale, oltre il quale, la crisi climatica diventa irreversibile.
Per facilitare la comprensione del concetto di punto di non ritorno, e per far prendere coscienza alla popolazione globale della gravità della situazione, attivisti e Organizzazioni Non Governative (ONGs) hanno ideato il Climate Clock.
I Climate Clocks
Il Climate Clock, nelle parole del sito Fridays For Future, è un orologio che “ha lo scopo di colmare il vuoto mediatico sul tema del Carbon Budget (emissioni) per sensibilizzare cittadini, leader e i media stessi, spronando tutti a fare la loro parte in vista delle imminenti PRE-COP26 di Milano e COP26 di Glasgow.”
Questo strumento mostra semplicemente due numeri:
• uno in rosso, la deadline, che indica il tempo rimasto per fermare le emissioni di CO2;
• uno in blu, la lifeline, che indica la percentuale di energia prodotta da fonti rinnovabili.
L’acquisto dei Climate Clocks va a finanziare il Green Climate Fund, il più grande fondo per investimenti legati alla lotta al cambiamento climatico, istituito nel 2010.
Non resta che prendere coscienza di questa crisi globale e partecipare attivamente per evitarla.
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